Beati i costruttori di pace!

Carissime socie e carissimi soci, le festività pasquali che si celebrano in questi giorni ci colgono ancora una volta a interrogarci, credenti e non credenti, su quali siano i “passaggi” – Pasqua e Pèsach significano appunto passaggio – che come umanità e come società dobbiamo attraversare per superare, senza esserne sopraffatti, divisioni, conflitti, paure, fame, flagelli umani e non umani, com’è il virus che ancora circola e fa vittime. La guerra che sta cambiando gli scenari rispetto ai quali ci apprestavamo a riconfigurare i nostri modelli di sviluppo socio-economico e tecnologico, sembra, come la pandemia da COVID 19, aver colto troppi, soprattutto tra coloro che hanno responsabilità pubbliche, di sorpresa. E le risposte correnti alle domande sul futuro sembrano rintuzzare le speranze che i programmi di recovery europeo avevano fatto nascere. Come sociologi e sociologhe, d’altra parte, quelle domande e quelle risposte siamo abituati ad articolarle nei termini propri della nostra disciplina. Le nostre categorie sono continuamente sottoposte a revisione di fronte al mutare delle forme stesse del mutamento. Abbiamo visto, d’altra parte, equilibri e asimmetrie di poteri e di capacitazioni, rompersi e poi riprodursi, ai diversi livelli dal locale al globale, come frattali: Afghanistan e Ukraine, torri gemelle e rottura del tabù della guerra d’invasione in Europa, guerra fratricida in Ghana e a Odessa. La pace è finita, dicono gli studiosi di geopolitica. È tempo, diciamo noi sociologi e sociologhe, di costruire nuove istituzioni che ridefiniscano condizioni di possibilità per un ordine globale senza imperi e imperialismi. Cercare la pace non è fuggire dai conflitti, ma affrontarli alla radice. “You don’t believe we are on the eve of destruction”, recita il brano che ho scelto per farvi i miei auguri. No, non lo crediamo perché ci muoviamo in direzione contraria e per questo lavoriamo ogni giorno.
Beati i costruttori di pace!

Maria Carmela Agodi

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