Il sociologo Amitai Etzioni ci ha lasciati

L’Associazione Italiana di Sociologia saluta il sociologo Amitai Etzioni che ci ha lasciati. Lo studioso israelo-americano di origine tedesca è stato uno dei maestri degli studi di sociologia economica e sul comunitarismo. È stato consigliere politico della Casa Bianca al tempo del presidente Jimmy Carter, Etzioni ha insegnato alla George Washington University, di cui era professore emerito. Ci mancherà.

In memoria di Amitai Etzioni (1929-2023)

di Mariella Nocenzi

Sociologo visionario e padre del comunitarismo, Amitai Etzioni ci ha lasciato lo scorso 31 maggio all’età di 94 anni, nella Washington dove ha vissuto per la seconda metà della sua vita quale titolare della cattedra di Sociologia e International Affairs alla George Washington University dal 1980, ma anche come esperto interlocutore di tutte le principali istituzioni politiche statunitensi che vi hanno sede.

Quello di Etzioni, infatti, è un profilo scientifico e umano sui generis rispetto alla figura tradizionale del sociologo, specie in Europa, dove erano le sue origini. Dal punto di vista scientifico di lui si ricordano parimenti l’estrema versatilità nell’analisi della società – politiche energetiche, jet set di Hollywood, Guerra in Vietnam opinione pubblica e prostituzione fra i suoi temi – ma anche il suo ruolo di consigliere del Presidente Jimmy Carter, rinnovato periodicamente con Bill Clinton, oltre che con decine di altri Capi di Stato nel mondo. La sua biografia, poi, non è stata meno variegata. Nato come Werner Falk a Colonia, in Germania, da famiglia ebrea nel 1929, già da bambino è costretto a fuggire dal regime nazista prima a Londra dai nonni, poi ad Atene e, infine, in Israele dove cambierà definitivamente il suo cognome in quello ebraico e assumerà il nome di Amitai che significa “verità”. Una scelta che oggi appare predittiva per il giovane Etzioni, visto che proprio nella ricerca della verità spese gli anni della sua adolescenza come militare dell’unita clandestina dell’esercito israeliano Palmach per l’indipendenza dello Stato; ma già nelle trincee si dimostrò anche un acuto osservatore delle azioni umane raccontate nella sua prima opera, quel Diario di un soldato del comando (1952) nel quale la sua curiosità verso i fatti sociali animava un vivace spirito descrittivo e interpretativo. In continuità i suoi studi si sono poi orientati alle scienze sociali, sotto la guida del filosofo austriaco Martin Buber con cui giunse alla laurea in Sociologia presso l’Università di Gerusalemme (1954) e, dopo il suo trasferimento oltreoceano, conseguì il dottorato presso l’Università di Berkeley in California (1958).

Gli studi in Nord America consentirono ad Etzioni di venire a contatto con una comunità scientifica, quella sociologica nordamericana che, al tempo, costituiva per gli studiosi di scienze sociali di tutto il mondo un riferimento teorico e metodologico e non poteva non sfidare il suo sguardo attento al funzionamento della società. E a quella società e alle dinamiche internazionali Etzioni guardò sia come docente già dal 1958 e per vent’anni alla Columbia University di New York che come ricercatore delle organizzazioni, cui ha dedicato opere giunte rapidamente anche in Italia, come Sociologia dell’organizzazione (Il Mulino, 1967) e Unificazione politica. Uno studio comparativo dei leader e delle forze (Etas Kompass, 1969) e altre no, come “The Active Society” (1968).

È con la lettura di queste opere, a qualche decennio di distanza, che mi sono appassionata all’interpretazione estremamente originale che Etzioni ha offerto del funzionamento della società, proponendo una soluzione inedita, direi, e non intermedia, fra una visione conservatrice ed una “progressista” di cosa tiene insieme una società. Proprio perché originale e fuori dagli schemi tradizionalmente contrapposti, si comprende quali doti abbia esercitato questo professore della Columbia per convincere un Capo di uno Stato potente come gli Stati Uniti a designarlo suo “guru” – quanto avvenuto nel 1979 con il Presidente Carter – e per ricevere il riconoscimento della selettiva comunità sociologica nordamericana a Presidente dell’American Sociological Association nel biennio 1994-95, ormai già professore emerito della George Washington University.

Amitai Etzioni, in effetti, ha avuto determinazione e, spesso, anche coraggio, nel proporre un vero e proprio paradigma alternativo per l’interpretazione e lo sviluppo della società in quello del comunitarismo, che lo ha contrapposto a chi già aveva utilizzato questo “modello” ma in termini diversi, e a coloro che – praticamente l’intera comunità sociologica – si schierava per una visione funzionalista o, alternativamente, conflittualista della società. La sua “terza via” – concetto che da lui giunge fino al modello socio-politico promosso da Bill Clinton negli USA e dal premier inglese Tony Blair nel corso degli anni Novanta – pone un fondamento scientifico puntuale a quella che ancora oggi è riconosciuta come una politica di riforma della società. Il perno sono le istituzioni agenti della socializzazione (famiglia, scuola, amministrazioni locali ecc.) che guidano il comportamento individuale e collettivo attraverso bussole di orientamento “infallibili” quali possono essere i valori umani fondamentali: responsabilità, giustizia sociale, equità. Si tratta di una riflessione che esercitava un grande fascino già in quell’ultimo scorcio del secolo scorso, quando le scienze sociali erano impegnate ad indagare i mali di una società moderna – non ancora moderna, non più moderna – che sancivano la profonda crisi del modello di sviluppo industriale, tecnologico, urbano. Fra le numerose diagnosi, fra loro spesso contrapposte, ciò che dell’analisi di Etzioni ha attirato il mio interesse e approfondimento sono stati due aspetti di metodo e concettuali: il comunitarismo posto come una filosofia, appunto un paradigma che, al contempo, trovava punti di contatto fra le interpretazioni sociali contrapposte e apriva a traiettorie oltre la sociologia e verso le altre discipline parlando un linguaggio con loro comune. Ne è un esempio il suo riferimento frequente alle scienze naturali, impegnate in quegli anni a salvaguardare il mondo naturale, quale modello per il sociologo che è chiamato a proteggere le istituzioni dalla crisi sociale. Se gli scienziati della terra sono impegnati a far conoscere i processi di esaurimento delle risorse naturali e della biodiversità e a indicare come adattarsi alla biosfera così alterata, il sociologo è chiamato a definire quali obiettivi la società può porsi per uscire dall’empasse e di quali strumenti dotarsi per farlo.

Trovai alla fine degli anni Novanta nelle librerie, accanto ai testi di Giddens, Touraine, Beck e Bauman, l’opera Nuovi comunitari. Persone, virtù e bene comune (Arianna Editrice, 1998) in cui Etzioni, ormai promotore del comunitarismo anche attraverso una rivista scientifica, un istituto di ricerca (Institute for Communitarian Policy Studies) e un’organizzazione no profit, illustrava un modello alternativo a quello globale o locale di sviluppo, puntando sui valori. Lessi per approfondire altre sue opere come “The Spirit of Community: The Reinvention of American Society” (1993) e mi accorsi che aveva altro da dire rispetto a chi come Ronald Inglehart – che in quegli anni seguivo con attenzione per le sue indagini “globali” sui valori – proponeva nell’interpretazione dei fenomeni sociali contemporanei.

Il sociologo del comunitarismo si affidava ad una rappresentazione quanto più articolata della società e lo aveva fatto fin dai suoi primi studi in cui, ad esempio, c’era una particolare attenzione per le donne, da lui definite, in tempi primordiali. un “hidden economic power”. Ma questo sguardo alle singole unità da qualcuno definite le dominanti “individualità”, da altri le componenti dell’unico riferimento, il sistema sociale, andava alla dimensione che le teneva insieme, ossia la vita sociale comunitaria fatta di diritti e libertà, mantenute tali dai valori umani fondamentali e, per ciò stesso, incontrovertibili. Conciliare diritti fondamentali con valori universali e dare loro un fondamento con la globalizzazione perché comuni nonostante la diversità culturale è un percorso ambizioso, ben più se lo si compie senza le rilevazioni comparate della World Value Survey di Inglehart e si vogliono evitare le visioni assolute dei liberal e dei conservatori. L’assioma di Etzioni è quanto mai ardito: valori fondamentali della società globale sono la libertà individuale e l’uguaglianza che, per essere effettivi e stabili, richiedono che gli individui si assumano la responsabilità di essere buoni cittadini del mondo, in qualsiasi latitudine vivano. E perché essi siano buoni cittadini è proprio la vita comunitaria fatta dalle istituzioni che presiedono alla socializzazione che diventa strategica, specie per i governanti di un mondo contemporaneo definito complesso. Ciò è quanto si leggeva già nel 1992 nella “Communitarian Platform”, un vademecum per il buon governo della società, scritto insieme con esperti di numerose discipline, in cui Etzioni manifesta appieno il connubio delle doti scientifiche e politiche di cui disponeva da sempre per inclinazione e ragioni biografiche. Ad ogni diritto individuale risponde la responsabilità del soggetto di guadagnare il suo riconoscimento e preservare il diritto equivalente degli altri senza che la società giunga a forme di repressione.

Un equilibrio estremamente delicato che ha cercato di imporsi sia sui progressisti che trascuravano l’importanza della responsabilità individuale attribuendo le colpe delle crisi a politica ed economia, sia i conservatori che minimizzavano gli effetti delle politiche economiche sulle comunità e le famiglie. Le misure proposte per attuare questo modello hanno acuito ancora di più la diffidenza degli uni e degli altri: la famiglia intesa come un’ancora morale e l’inasprimento delle leggi sul divorzio, accanto al sostegno al congedo parentale e alla conciliazione vita lavoro si sono trasformate in vere e proprie contraddizioni, in grado di sparigliare i cliché ideologici, ma talvolta anche quelli morali. È questo il caso della proposta di politiche di controllo medico fin dall’infanzia dei cittadini perché la loro salute è più importate della tutela della privacy.

Il limite fra libertà individuali e coesione sociale è stato continuamente discusso e ridefinito da Etzioni alla luce delle trasformazioni sociali in atto, ma questo non ha mai risolto i nodi epistemologici con chi, per una ragione e per quella opposta allo stesso tempo, non ha condiviso la sua proposta scientifica e men che meno ne ha condiviso le misure operative: maggiori libertà per tutti grazie ad una maggiore autodisciplina e controlli sui comportamenti scorretti, il servizio nazionale per i giovani, una più ampia partecipazione al servizio di giuria e al servizio militare e un’enfasi sulla condotta ordinata applicata dalla polizia. Al di là delle accuse alterne di autoritarismo e ciarlateneria degli oppositori in campo politico, quello di Etzioni resta un insegnamento sociologico rilevante perché originale, “comprendente”, transdisciplinare: proprietà intrinseche dello studio di ogni società, delle sue specificità e delle sue trasformazioni più profonde.

Italiano