Secondo la professoressa Lucia D’Ambrosi “su lotta a stereotipi di genere oggi c’è maggiore consapevolezza, ma il linguaggio violento della politica non aiuta”
Roma 22 nov – “Nel contesto della comunicazione pubblica il tema della violenza di genere sta, seppur lentamente, emergendo e contribuendo ad accrescere la sensibilità dei cittadini su questi temi, e in generale, sulla tutela dei diritti della persona. Del resto su questi argomenti l’attenzione è diventata sistematica sia a livello nazionale che internazionale e l’opinione pubblica è sollecitata a riflettere sulla dimensione della violenza di genere come problema sia sociale che individuale.”
In vista della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la professoressa di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso Sapienza Università di Roma, Lucia D’Ambrosi, esprime una valutazione in parte positiva sull’evoluzione nel nostro Paese della comunicazione pubblica e istituzionale rispetto a questi temi.
“E’ uno scenario con segnali incoraggianti di cambiamento – aggiunge D’Ambrosi, che è anche membro dell’Associazione italiana di sociologia -, in cui un ruolo centrale spetta alle istituzioni, che devono intercettare le politiche e i linguaggi oggi necessari per destrutturare gli stereotipi di genere, ma anche per costruire contenuti e messaggi di comunicazione capaci di raccontare la complessità della violenza”. Istituzioni che, rileva la sociologa, sono però troppo spesso anche protagoniste, a partire dalla politica, “di un linguaggio urlato, aggressivo o incivile.Esiste decisamente un gap tra la maggiore attenzione a un linguaggio istituzionale e inclusivo e la pratica”.
Ciò nonostante, passi in avanti se ne stanno compiendo e ”uno studio recentemente condotto insieme alla Professoressa Franca Faccioli – prosegue – ha evidenziato come oggi ci sia un uso più consapevole della comunicazione gender sensitive. Negli anni ‘90 le prime campagne istituzionali si caratterizzano per un approccio informativo teso a far conoscere il numero antiviolenza 1522, in cui la rappresentazione della violenza contro le donne appariva quasi come una conseguenza di una scarsa capacità delle donne di reagire e denunciare gli aggressori. Inoltre, da quella narrazione era sostanzialmente assente la figura maschile. Oggi, invece, l’analisi sulle campagne evidenzia che è cresciuto il richiamo alla responsabilità pubblica nell’affrontare la violenza di genere come problema sociale, che coinvolge gli uomini e interessa l’intera collettività. La donna rappresentata è più consapevole, protagonista nel denunciare la violenza. Tuttavia, alcuni elementi di fragilità rimangono nella comunicazione istituzionale, che, in alcuni casi, rischia di accentuare la discriminazione di genere costruendo immagini della donna che combinano bellezza ed emancipazione. Questo approccio non esalta la specificità femminile e crea strategie e stili linguistici paternalistici che rischiano di alimentare il ‘pinkwashing’”. In questo quadro dal segno ‘più’ un contributo importante lo stanno apportando anche gli enti locali, attraverso il lavoro svolto dai CUG, dalle Consulte femminili e dall’associazionismo: “le iniziative di comunicazione regionali e comunali – prosegue la sociologa dell’Ais – hanno una particolare capacità di penetrazione nei confronti dei cittadini, anche dovuta alla prossimità al territorio. Quello in atto è un cambiamento difficile – conclude D’Ambrosi – che muove nella direzione di creare una consapevolezza sociale ed individuale sulle diverse identità di genere, in un contesto nazionale che è ancora caratterizzato da una cultura maschiocentrica”.
Libero Quotidiano
dal Sociale 24