di Andrea Millefiorini
Giovedì 13 luglio ci ha lasciati, a 89 anni, Gianfranco Poggi. Era nato a Modena il 18 febbraio del 1934. È stato un maestro indiscusso della Sociologia e della Sociologia politica italiane.
L’Università di Trento è stata il suo ultimo e definitivo approdo, dopo che, avendo iniziato come assistente di Joseph La Palombara, il suo personale portolano lo fece arrivare, nel corso della vita accademica e scientifica, a toccare decine di sedi universitarie, tra le quali (possiamo qui ricordare solo quelle nelle quali si fermò più a lungo), come assistente, alla “Cesare Alfieri” di Firenze e poi a Berkeley, come Lecturer, come Reader e poi come Professor all’Università di Edimburgo, di Sidney, della Virginia, all’Istituto Universitario Europeo di Firenze. L’Università della Virginia e l’Università di Trento lo ricordano tra i loro professori emeriti.
La sua conoscenza a 360 gradi di Max Weber gli ha permesso – utilizzando soprattutto il metodo della sociologia storico-comparata – di edificare una teoria del potere, del potere politico e dello Stato in grado di resistere ai movimenti tellurici verificatisi nelle società civili occidentali negli ultimi decenni, e di lasciarci così una spiegazione ancora convincente dei fondamenti politici e culturali dell’istituzione stato alle soglie del XXI secolo. Gianfranco Poggi può infatti, a buon diritto, essere considerato colui che, in Italia come principale esponente, all’estero come uno tra i più noti, ha permesso al realismo politico di attraversare la soglia del nuovo secolo e di continuare così ad esercitare una rilevante influenza come approccio teorico esplicativo al tema non solo dello stato ma della politica in generale.
Ma non di solo Weber vive il sociologo. Poggi viene ricordato per eminenti studi simmeliani, durkheimiani e marxiani tradotti in diverse lingue.
La sua prima pubblicazione, apparsa nel 1960 sui “Quaderni di Sociologia” si intitolava Appunti su alcune critiche all’opera di Talcott Parsons apparse in Europa. Da allora i suoi interessi scientifici spaziarono in campi che conobbero articoli come Luchino Visconti and Italian cinema in “Film Quarterly”, sempre nel 1960. Poi l’inizio di un periodo dedicato agli studi sul laicato e sull’azione cattolica, che gli valse riconoscimenti e incarichi oltreatlantico, seguito dall’altrettanto noto periodo dedicato ai partiti politici e alla partecipazione politica in Italia (che culminò con L’organizzazione partitica del PCI e della DC, volume da lui curato e pubblicato dal Mulino nel 1968).
Negli anni Settanta fiorì in pieno un’altra delle sue grandi passioni: la teoria sociologica. Tocqueville, Durkheim, Marx, vennero accanitamente scarnificati, assimilati e metabolizzati per farne energia intellettuale pura, finalizzata alla spiegazione delle dinamiche di funzionamento delle istituzioni, primi passi verso la sua successiva teoria dello stato, del potere politico e della società civile. Nel 1978 compare infatti quello che diverrà uno dei suoi più apprezzati “classici”: La vicenda dello stato moderno (in edizione anche inglese), nel quale spiega chiaramente come la società civile non sarebbe neppure concepibile senza che con essa interagiscano le istituzioni pubbliche e, nello specifico, lo stato.
Per non farsi mancare nulla affrontò lo studio di colui che tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta era già in Europa una delle punte di diamante (e lo è rimasto a tutt’oggi) della teoria sociologica contemporanea: Niklas Luhmann (Niklas Luhmann’s neo-functionalist approach: an elementary presentation in “La Critica Sociologica”, 1978).
Dopo questo intermezzo iniziò il suo crescendo volto ad una teorizzazione e spiegazione complessiva del fenomeno del potere, del potere politico e dello stato. Le voci “State” e “Power” del Cambridge Dictionary of Sociology le scrisse lui. Per arrivare a tanto, come detto, si confrontò con Weber come pochi, e incrociò temi essenziali come l’ideologia, il potere economico (memorabile la sua lettura critica della Filosofia del denaro di Simmel, pubblicata negli Stati Uniti, Money and the modern mind: Georg Simmel’s Philosophy of money, Berkeley, University of California press, 1993), sino al tema dei rapporti di potere a livello internazionale (avrebbe voluto pubblicare un volume sulle relazioni internazionali, non vi riuscì ma ci ha lasciato comunque una perla con il saggio Prima bozza per un libro sulle relazioni internazionali, pubblicato su “Modernizzazione e sviluppo”, allora diretta da Luciano Pellicani, nel 1998, e tradotto dall’inglese dal sottoscritto).
Lo avevo sentito per telefono recentemente, per chiedergli l’introduzione a un mio prossimo volume in uscita sul concetto di politica. Ne era rimasto contentissimo in quanto era parecchio che non scriveva, e questo sembrava avergli ridato allegria e buonumore. Purtroppo le sue condizioni erano già da tempo peggiorate e non siamo riusciti nel nostro intento.
Il Direttore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, Giuseppe Sciortino, così, tra l’altro, lo ricorda su “Il Sole 24” ore di venerdì 14 luglio:
“Era soprattutto una vera e propria rarità, un accademico modesto. Nulla nei suoi comportamenti quotidiani faceva trasparire la sua straordinaria carriera intellettuale e accademica, la quantità quasi assurda di premi, riconoscimenti e visiting fellowships in giro per il mondo. Se molti accademici fanno cose normali pensando che siano straordinarie, Gianfranco ha vissuto una vita straordinaria pensando che fosse normale“.
Ciao Gianfranco, finalmente potrai adesso discutere appassionatamente con i tuoi amati giganti.