Antonio Maturo – Coordinatore Dottorato “Sociologia e Ricerca sociale” – Unibo
Professore Associato
Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia
Università di Bologna
Regular Visiting Professor – Brown University
Nelle sociologia a mio avviso stiamo facendo ora esperienza di un triplice bias che rende difficile fare una ricerca sociale “normale” sul Covid-19.
Il primo è il bias semantico. Ci mancano le parole. Qualche giorno fa, nel testo per lanciare una Call, volevo generalizzare il Covid, ma come chiamarlo?
Uno fenomeno sociale? Riduttivo.
Un fenomeno biologico? Ancora più riduttivo.
Una catastrofe? Vero, ma troppo ampio.
Un evento? Falso, troppo prolungato.
L’ho chiamato allora “pandemia”. (Con la medicalizzazione (del linguaggio) si risolvono molte cose.)
Un altro bias è quello epistemologico. Mai come oggi siamo parte del nostro oggetto di studio. Certo, è dagli anni ’30 che lo dicono nella fisica ed è vero per tanti altri fenomeni, ma personalmente mi sento meno in difficoltà a scrivere di ibridazione di feste popolari italiane negli US, che di Covid qui e ora.
Accanto a questo c’è un bias metodologico, ovvero i confini dell’oggetto di studio. Siamo nel mezzo di un ‘qualcosa’ che sta accadendo ora, non ne conosciamo la durata ed è difficile separare il flusso degli eventi. Forse avremo qualche certezza in più dopo la fine del lockdown. Ci saranno almeno dei confini normativi, ma anche qui ho dei dubbi. Ci sarà gradualità e comunque gli effetti saranno lunghi e cumulativi. Anzi, forse un aspetto interessante in questo momento è il carattere lagged, ritardato, degli eventi. Un po’ come di notte vediamo stelle che forse non ci sono più, oggi accadono epidemiologicamente cose che hanno origine da comportamenti da noi tenuti due settimane fa.
Bene, almeno ho cominciato a scrivere. I bias servono a qualcosa…