Scrivere del Covid-19 non è semplice. La prima sensazione che emerge, forte e tenace, quando si comincia a scrivere del Covid-19, è quella di imbarazzo, un inaspettato imbarazzo intellettuale. Infatti, non sappiamo come nominare quello che ci è capitato, ci sta capitando, in questi densissimi mesi, anzi quasi anni. Chiamare il Covid un evento è riduttivo, se non sbagliato, visto che non è un accadimento con dei confini temporali definiti, anzi è quasi una certezza che i suoi effetti si protrarranno per lungo tempo, anche quando sarà finita l’emergenza. Chiamare il Covid una tragedia è certamente e purtroppo giusto, ma non è in linea con il linguaggio scientifico, che dovrebbe tendere a nascondere emotività e sentimenti. Chiamare il Covid un fenomeno sociale non è errato, ma ancora appare parziale se non generico. Tra l’altro trascura l’aspetto più importante: il Covid è un virus, dunque è (anche e soprattutto ma non solo) un fenomeno biologico. Non è un caso che sul Covid prolifichino le metafore (Battistelli e Galantino, 2020).
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