Andrà tutto bene? Una nota alla cerimonia di commemorazione per le vittime bergamasche del Covid-19

di Stefano Tomelleri
Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università degli studi di Bergamo
Vice Presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia

Vivo e lavoro a Bergamo, nella produttiva e ricca Lombardia, cuore economico dell’Italia, profondamente ferita dalla pandemia di Covid-19. A commemorare le vittime della città e della sua provincia, il 28 giugno del 2020 è venuto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il Presidente ha percorso la strada che porta alla chiesa di Ognissanti, simbolo delle vittime che in quattro mesi hanno stravolto per sempre la vita di tutta la bergamasca, stipate nella chiesa che era diventata l’ultimo giaciglio cittadino per le bare in partenza verso altre destinazioni meno ferite dal virus. Davanti al cimitero monumentale di Bergamo, ad attendere il Presidente erano presenti 243 sindaci dei comuni della provincia colpiti dalla pandemia. Due erano assenti, poiché deceduti durante l’emergenza: i primi cittadini di Cene e di Mezzoldo. 

Nel suo breve e sobrio discorso, il Presidente della Repubblica, prima della Messa di Requiem di Gaetano Donizetti, organizzata dal Comune di Bergamo e dalla Fondazione Teatro Donizetti, ha pronunciato parole intense: “Fare memoria significa anzitutto ricordare i nostri morti e significa anche assumere piena consapevolezza di quel che è accaduto. Senza cedere alla tentazione illusoria di mettere tra parentesi questi mesi drammatici per riprendere come prima – ha continuato il Capo dello Stato -. Significa allo stesso modo rammentare il valore di quanto di positivo si è manifestato. La straordinaria disponibilità e umanità di medici, infermieri, personale sanitario, pubblici amministratori, donne e uomini della Protezione civile, militari, Forze dell’Ordine, volontari. Vanno ringraziati: oggi e in futuro“.

Praticamente ogni famiglia bergamasca è stata in qualche modo toccata dal virus: i decessi a Bergamo e provincia nel solo mese di marzo sono stati 6.230 (ISTAT 2020), cinque volte (567,6%) in più rispetto alla media dello stesso periodo degli anni 2015-2019. Anche il quotidiano locale, L’Eco di Bergamo, ha registrato la drammaticità degli eventi: abitualmente pubblicava due pagine di necrologi ma nei mesi di marzo e aprile è arrivato a contarne dodici (Migliorati 2020).

La ferita è ancora profonda, non ancora completamente rimarginata. Per le strade dei quartieri e dei paesi di tutta la provincia campeggiano lenzuoli o cartelli spesso disegnati da bambini, che raffigurano l’arcobaleno della speranza post-diluviale accompagnato dallo slogan “Andrà tutto bene”, nonostante ormai sia risaputo che così non è stato. Qualcosa è andato storto, come ha dimostrato Maria Luisa Bianco nel suo contributo al Forum, COVID-19: adesso sappiamo che molto è andato male. Facciamo il punto per progettare bene il domani. La magistratura sta indagando e la giustizia farà il suo corso. Sarà importante ricostruire quanto è accaduto, perché eventuali errori non si ripetano nuovamente. Ma la cura non è la caccia ai capri espiatori (Girard 1982), per cercare facili soluzioni a problemi complessi. Né tantomeno la rimozione sociale (Fornari 1970), come se non fosse accaduto nulla. Condurre una ricostruzione, con spirito critico e mano leggera, degli avvenimenti iniziali della pandemia, è un atto dovuto per l’impegno che le istituzioni sanitarie, l’ospedale Papa Giovanni XXIII in primis, e il personale sanitario hanno profuso in quel periodo emergenziale: 300 posti letto ospedalieri su 900 – di cui il 70% in terapia intensiva – erano occupati da pazienti Covid-19. Il personale ha rinunciato per settimane alle pause per garantire la continuità delle cure, numerosi medici e infermieri sono stati reclutati da tutte le parti d’Italia e da altre nazioni e gli elicotteri hanno trasferito quotidianamente pazienti in altri ospedali nazionali ed europei.

Una foto in particolare ha colto l’entità del dramma: una lunga processione di camion dell’Esercito Italiano per le vie cittadine nella notte del 19 marzo. I camion erano serviti per trasferire in altre città centinaia di feretri di vittime del virus SARS-CoV-2 che non potevano più essere accolti dalle strutture cimiteriali di Bergamo, ormai sature. Le stesse strutture cimiteriali in cui si è svolta la commemorazione del 28 giugno, ora riconsegnate alla cittadinanza ferita. L’impatto della foto è stato forte tra i bergamaschi e nel resto del Paese: ha evocato l’immaginario più tragico della guerra, quello della ritirata, della sconfitta e della morte (Lusardi, Tomelleri 2020)

L’immagine evoca il potente autotreno della modernità (Giddens 1994) colpito da uno shock congiunturale inaspettato dalle conseguenze imprevedibili. L’impatto è stato frastornante. La veloce diffusione del virus ha infatti proiettato la società neoliberale e globale in una condizione dove l’inatteso e l’imprevisto hanno fatto la loro comparsa, creando spaesamento e disorientamento (Taleb 2009).  La capacità di previsione e di pianificazione sviluppata delle società neoliberali negli ultimi 50 anni è entrata in cortocircuito. L’economia neoliberista ha infatti tramutato lo stato nascente, il presente indefinito, nella propria dimensione temporale strutturale affidandosi alla convinzione che il domani sarebbe rimasto uguale all’oggi (Maffesoli 2000). Alimentando l’illusione dell’essere umano come padrone del proprio ambiente vitale, incontaminato, la configurazione societaria neoliberale ha promesso l’impossibile: vivere nell’illusione di un’eterna giovinezza individualistica in un indefinito presente, salvo poi veder crescere il numero di anziani pluripatologici, malati cronici e in condizioni di terminalità (Lusardi, 2012).

La narrazione neoliberista viveva nell’illusione che i cambiamenti avrebbero riguardato solo l’ottimizzazione del sistema globale e l’ulteriore massimizzazione del profitto in nuovi mercati o mediante nuove piattaforme tecniche. Ma così non è stato. All’inizio del 2020 l’inatteso ha fatto irruzione nell’eterno presente neoliberista. Da pochi mesi la storia ha inaspettatamente ripreso a correre. La veloce diffusione del virus ha proiettato la configurazione societaria neoliberale in una condizione di reale indeterminatezza senza precedenti. La sfida più difficile sarà progettare il dopo, come ha ben osservato Consuelo Corradi nella sua riflessione pubblicata il 17 aprile 2020 nel Forum, Il virus. Il compito più arduo.

La pandemia di COVID-19 ha messo e sta mettendo a dura prova l’infrastruttura tecno-nichilista della società neoliberale e le premesse socioculturali che la sostengono (Magatti 2009). Essa mina le fondamenta su cui si poggiano le società neoliberali (libero mercato, globalizzazione e consumismo di massa), la cui stabilità era il presupposto essenziale per la pianificazione seriale (Ritzer 2020).

La crisi generata dalla Pandemia è di ordine sanitario, economico ma soprattutto politico e sociale, come ha ammonito il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, sostenendo che occorre mettere in quarantena la politicizzazione della pandemia e restare uniti, perché il virus può “sfruttare” le divisioni tra le tante nazioni coinvolte.

Il peggio è davvero passato? Ce lo stiamo chiedendo in tanti, in questa fase post-emergenziale Il problema non è solo l’ambiente di diffusione del virus. Secondo Marco Damiani, (cfr. Forum) una questione nodale è che il mondo è diviso sulle priorità e sul futuro da immaginare e da progettare. La politicizzazione della pandemia aiuta il virus a diffondersi, perché la pandemia non è il problema di una città o di una regione, di una classe sociale o di un gruppo etnico, ma riguarda il mondo intero e la nostra comunità di destino (Morin 1974).

La pandemia di Covid-19 ha messo in luce il meglio e il peggio dell’umanità. In tutto il mondo abbiamo assistito ad atti commoventi di resilienza, inventiva, solidarietà e gentilezza. Ma abbiamo anche visto segni di disinformazione, egoismo, avidità e stigma. Permane nella società digitale e avanzata, l’arcaica ricerca di capri espiatori per trovare soluzioni semplificatrici alla complessità della realtà sociale. Le scienze sociali possono avere un ruolo importante nel disegnare il futuro che ci attende. Sarà importante ascoltare, comprendere e spiegare i comportamenti sociali, i cambiamenti in corso, valutare l’impatto della pandemia sulla storia e la vita delle persone, delle istituzioni e delle organizzazioni. La strada della ripartenza sarà stretta e in salita, ha rammentato il Capo dello Stato.  La cura delle ferite che hanno lacerato Bergamo e molte realtà del nostro Paese e del mondo intero, non hanno bisogno solo di ingenti risorse economiche da mettere in campo, ma anche di una viva capacità di immaginare strategie concrete e alternative al pensiero unico.

Rammentiamoci delle energie morali emerse quando, chiusi nelle nostre case, stretti tra angoscia e speranza, abbiamo cominciato a chiederci come sarebbe stato il nostro futuro. Il futuro della nostra Italia. – ha affermato il Presidente della Repubblica – La memoria ci carica di responsabilità. Senza coltivarla rischieremmo di restare prigionieri di inerzie, di pigrizie, di vecchi vizi da superare. Da quanto avvenuto dobbiamo uscire guardando avanti. Con la volontà di cambiare e di ricostruire che hanno avuto altre generazioni prima della nostra“.

L’invito è di volgere lo sguardo verso il futuro, assumendosi pienamente la responsabilità che ci consegna la storia. Coltivare la memoria per uno scienziato sociale significa abbandonare le spiegazioni unilineari e unilaterali di traiettorie biografiche predefinite per abbracciare una critica radicale alla riduzione economicistica e razionalistica del soggetto. La nostra responsabilità di studiosi delle scienze sociali è di rivendicare con determinazione e orgoglio la capacità di riconoscere la complessità del senso profondo della vita sociale, come forma di conoscenza, di partecipazione e di responsabilità condivisa e solidale. Significa rivendicare la dimensione pubblica della ricerca sociale, affinché possa essere patrimonio di tutta la società e non solo della nostra comunità scientifica.

A tal proposito forse l’evento imprevisto e devastante della pandemia può essere considerato come una sorta di occasione per ripensare i ruoli cristallizzati nella società neoliberista, che negli ultimi vent’anni sono stati sostanzialmente posto in una formalina di “buone maniere” insensate e inerti, di fatto incapaci di reggere il passo di una storia multiforme e in costante accelerazione. L’occasione deve anche essere quella di ripensare il ruolo dello studioso nelle istituzioni, ripensare le università e la ricerca come contesti di legame sociale e di creatività e non più come strutture iper-burocratizzate dove generazioni sperdute rischiano di riprodurre acriticamente il punto di vista del più potente, quale che sia.

La pandemia, soprattutto a Bergamo, ha mostrato le falle di un sistema sociale, economico, antropologico: ha mostrato la fragilità del progetto sociale neoliberista; ha messo a nudo una realtà di per sé molto semplice, già rivelata negli adagi dell’antichità, dalla tragedia greca al Qoelet: siamo mortali, da soli non siamo niente. Il detto bergamasco “mòla mia” (non mollare), anch’esso spesso riprodotto sui muri o alle finestre, lungi dal rivendicare un’orgogliosa protervia o un revanchismo verso chissà quale potenza nemica, rivela invece un desiderio malcelato di cedere il passo, di contemplare il panorama della propria finitezza, di provare a rimettere in circolo la linfa delle relazioni e di farlo, per una volta, per questa volta, “insieme” (Sennett 2012).

Note Bibliografiche

Beck, U. (2000), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Milano.
Doni M., S. Tomelleri (2011), Giochi Sociologici, Raffaello Cortina, Milano.
Fornari, F. (1970) Psicoanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano.
Girard, R. (1982), Il capro espiatorio, Adelphi, Milano.
Giddens, A. (1994), Le conseguenze della modernità, Il Mulino, Bologna.
ISTAT (2020), Impatto dell’epidemia COVID-19 sulla mortalità totale della popolazione residente primo trimestre 2020, Istituto Nazionale di Statistica, accessibile al link: https://www.istat.it/it/files//2020/05/Rapporto_Istat_ISS.pdf.
Lusardi, R. (2012), Corpi, tecnologie e pratiche di cura. Uno studio etnografico in terapia intensiva, Franco Angeli, Milano.
Lusardi, R. Tomelleri S. (2020), NA Reports – Bergamo, March 2020: The Heart of the Italian Outbreak, in “European Sociologist”.
Maffesoli, M. (2000), L’Instant éternel. Le retour du tragique dans les sociétés postmodernes, Denoël, Parigi.
Magatti, M. (2009), Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli. Milano.
Migliorati, L. (2020), Un sociologo nella zona rossa. Rischio, paura, morte e creatività ai tempi di Covid-19, Franco Angeli. Milano.
Morin, E. (1974), Il paradigma perduto: che cos’è la natura umana?, Feltrinelli. Milano.
Ritzer, G. (2020), La McDonaldizzazione del mondo nella società digitale, Franco Angeli, Milano
Sennett, R. (2012), Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, Milano.
Taleb, N.  (2009), Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita, Il saggiatore Milano.

 

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