Diego Giachetti vive e lavora a Torino. Ha una formazione storica e interessi nell’ambito soprattutto della sociologia politica. Collabora con varie riviste e con la Biblioteca Franco Serantini di Pisa.
La nostra vita è intessuta di relazioni sociali come mai prima nella storia. Viviamo in una società che funziona come una rete di relazioni fondate sulla centralizzazione mondiale, industriale e finanziaria, delle holding, che interconnette direttamente o indirettamente quasi otto miliardi di persone.
Il pericolo coronavirus che cammina nella filiera della libera circolazione dei capitali, merci e corpi messi al lavoro a livello planetario, provoca nell’immediato non l’apocalisse della specie umana, ma una crisi sanitaria e una recessione mondiale.
Il coronavirus è “sociale”, si diffonde nella collettività promiscua, sommatoria di tante individualità. Alla socialità del virus si dovrebbe opporre la solidarietà di specie, quella che opera collettivamente per salvaguardarsi e difendersi nel nome del bene di tutti, anche a scapito di quello immediato ed effimero del singolo individuo o di gruppi di potere economici e finanziari.
Oggi invece ci troviamo di fronte una società costruita sul modello trionfante dell’«homo oeconomicus, un essere le cui azioni sono motivate unicamente da un supremo principio normativo consistente nel perseguimento dell’interesse o utilità personale» (Luciano Gallino, Il colpo di stato di banche e governi, Torino, Einaudi, 2013, p. 227).
Il coronavirus ha messo in luce il conflitto d’interessi tra salvaguardare i profitti e salvare la vita biologica, similmente a quello che si evidenzia nel rapporto tra sistema produttivo ed ecosistema, tra la vita del pianeta, delle sue specie viventi (uomo-donna compresi) e le priorità dell’economia capitalistica che non accetta limiti e costrizione ecologiche e biologiche.
La crisi da coronavirus ha fatto emergere la precarietà del sistema sanitario pubblico, vessato da anni di tagli di spesa e privatizzazioni. Nell’immediato il principale pericolo scatenato dal dilagare del virus è rappresentato dal rischio di superare la disponibilità di posti adeguati di cura presso gli ospedali. Esiste un protocollo a riguardo (https://tinyurl.com/w5y73ug) che impone la scelta di chi curare e chi no, chi è recuperabile e ha maggiori probabilità di vita e chi invece avrebbe un decorso dall’esito incerto, con una probabilità-lunghezza di vita minore poiché vecchio e magari già afflitto da altre patologie.